Articolo redatto a cura dell’Avv. Gianluca Di Ascenzo del Dott. ric. Luca Christian Natali[1], del Dott. Marco Trombadore e dell’Avv. Sergio Aracu
La tematica delle “chiamate” o comunicazioni di disturbo ai soggetti interessati/consumatori è ormai da anni elemento di dibattito nonché oggetto di interventi normativi e di attività – istruttoria e/o sanzionatoria – da parte e delle diverse Autorità, ad esempio dell’Autorità Garante per la Protezione dei dati personali e dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in ragione delle proprie competenza e funzioni[2][3].
In attesa dell’eventuale approvazione del Codice di condotta per il telemarketing, con l’auspicio di una fattiva ed efficace cooperazione fra tutti gli stakeholders nel presente contributo, a più mani, si prendono in considerazione alcuni passaggi logico-giuridici emergenti dalla ‘giurisprudenza’ del Garante. In un recente provvedimento del Garante Privacy si legge: “I dati di cui sopra evidenziano il considerevole impatto che le attività di XY, in massima parte portate all’attenzione con riferimento al telemarketing e all’invio di messaggi promozionali, assumono nella complessiva attività dell’Ufficio: già soltanto dall’esame dei numeri sopra riportati non può non evidenziarsi che, per una importante quota di utenti (la maggior parte dei quali, non si rivolge all’Autorità con segnalazioni e reclami) le attività promozionali così come impostate rappresentano un’intrusione nella sfera della propria riservatezza, allo stato difficilmente arginabile.” [Provvedimento del 12 novembre 2020, Registro dei provvedimenti n. 224 del 12 novembre 2020 doc. web n. 9485681], a cui possiamo/dobbiamo aggiungere la lesione di un altro rilevante diritto fondamentale della persona, quello alla tranquillità individuale.
Il Garante privacy, nella Relazione sull’attività svolta nel 2019, aveva già evidenziato quanto segue: “Si segnala infine che l’Autorità, nell’ambito del provvedimento (doc. web n. 9256486, Registro dei provvedimenti n. 7 del 15 gennaio 2020, n.d.r.), adottato nei confronti di Tim spa, è intervenuta, con approccio anche innovativo, su questioni fattuali e giuridiche alquanto dibattute dagli operatori del settore, quali: il legittimo interesse al marketing, stabilendo che, in conformità a quanto previsto dal RGPD, questa base giuridica può sostituire il consenso solo ricorrendo certe condizioni ed entro certi limiti; la possibile contitolarità del trattamento fra committente della campagna promozionale e call center incaricati del loro svolgimento; l’utilizzo di numeri “fuori lista”, con particolare riferimento ai soggetti lead (ossia soggetti che abbiano rilasciato i propri dati in un determinato form online oppure abbiano chiesto di essere ricontattati dall’operatore) e a quelli cd. referenziati (numerazioni cioè “suggerite” da soggetti presenti in liste di utenze contattabili); la (non) negoziabilità del consenso al trattamento (in particolare, per le finalità promozionali). [1]
Nella Relazione annuale 2019, inoltre, si legge: “La dimensione assunta dal fenomeno del cd. marketing selvaggio e la sua persistenza in termini sostanzialmente immutati (come risulta dall’analisi delle ultime Relazioni), ha indotto l’Autorità ad inviare il 19 aprile 2019 un corposo ed articolato appunto alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, in ordine al menzionato fenomeno del marketing selvaggio, con particolare riferimento alle telefonate promozionali, contenente una puntuale ricostruzione storica della complessa e variegata attività messa in atto dall’Autorità (provvedimenti inibitori e prescrittivi; provvedimenti generali e linee guida; ordinanze di ingiunzione per la contestazione delle correlate sanzioni) e una disamina delle principali criticità riscontrate, peraltro corredata da un prospetto sulle maggiori sanzioni inflitte nell’ultimo periodo.”[2]
Ciò ad attestare la valenza plurioffensiva del famigerato fenomeno del telemarketing che, ove condotto al di fuori dei binari di legge, può interessare, e soprattutto pregiudicare, molteplici diritti fondamentali e beni giuridici, come la protezione dei dati, ma anche la riservatezza domestica, la tranquillità individuale e la stessa libertà contrattuale dei consumatori.
Dopo questa premessa, appare utile chiarire che lo spunto del presente contributo nasce dall’analisi di un interessante provvedimento dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali, che, se letto con la dovuta attenzione, fornisce elementi di valutazione importanti per l’inquadramento di ruoli, funzioni e responsabilità in ambito privacy, connesse in modo importante con le pronunce dell’Autorità stessa, dal Working Party art. 29 (nel prosieguo, per brevità “WP29”), e poi dallo Europea Data Protection Board (nel prosieguo, per brevità, “EDPB”). Questi elementi sono da considerarsi cardine non solo in tema di protezione dati personali ma per ogni aspetto di compliance in termini assoluti.
Il Provvedimento del 18 dicembre 2019 [9220727].
Abstract dell’accaduto e di quanto verificato dall’ Autorità Garante Privacy
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